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Federagenti: Venezia laboratorio nazionale ma dallo Stato solo promesse


9 maggio 2020 - Il 13 febbraio, proprio alla vigilia dell’emergenza Covid 19 e quando le prime contradditorie notizie incominciavano a rimbalzare dalla Cina, Venezia, città già duramente colpita dall’acqua alta, con una manifestazione che aveva unito su iniziativa di Federagenti, impresa, lavoro e istituzioni, aveva lanciato un segnale forte e chiaro sintetizzandolo in un manifesto programmatico.

 Il giorno stesso il governo aveva dichiarato con soddisfazione di aver risolto definitivamente il problema del cosiddetto ‘protocollo fanghi’, fatto questo che avrebbe dovuto così dare il via a tutta una serie di lavori di escavi vitali per il porto. Questo non è successo e oggi scopriamo che in realtà il protocollo è ancora dentro qualche cassetto ministeriale e non certamente per colpa del virus che nel frattempo ha sconvolto il nostro paese ed il mondo intero.

Quel manifesto che oggi potrebbe suonare profetico e al quale ha fatto seguito in questi giorni anche la sfida “Rimbalzaitalia” lanciata dal Sindaco Brugnaro, riaccreditava e, oggi proprio sotto la pressione del virus, convalida ulteriormente due considerazioni di fondo: che i danni di un’operazione di snaturamento storico, specie delle città marittime che hanno svolto funzioni di emporio, porto e capolinea di commerci, possono diventare fatali se non si pianifica in queste realtà una convivenza fra funzioni e vocazioni economiche; che Venezia proprio per le sue caratteristiche mercantili e per la crescente consacrazione turistica, puó e deve diventare il laboratorio per un ripensamento globale della struttura economica e sociale di una fascia straordinariamente importante di città italiane.

Secondo Federagenti è venuto il momento di trarre le conclusioni da alcune lezioni che la storia ci sta impartendo:
1) le città la cui economia è basata su di una monocultura (nel caso di Venezia, il turismo diventato una risorsa essenziale, ma da gestire e ripensare) rischiano di essere annientate da emergenze globali; 
2) senza investimenti immediati e da sbloccare a ogni costo, finalizzati a interventi infrastrutturali (nel caso del porto di Venezia spiccano i dragaggi dei canali attraverso i quali la transitano le navi) anche il tessuto economico apparentemente più sano può facilmente disgregarsi e sgretolarsi;
 3) l’unico fattore strategico vincente che consente anche di affrontare “il cigno nero” di emergenze globali è la logistica, quella supply chain della quale i porti sono elemento essenziale e irrinunciabile.
“Le monoculture economiche – afferma il Presidente di Federagenti, Gian Enzo Duci - mettono a nudo tutta la fragilità intrinseca di comunità locali che si rivelano del tutto incapaci di affrontare le emergenze, mentre la logistica, la supply chain, e quindi porti, aeroporti, ferrovia, centri merce, si sono rivelati e si confermano come l’unico strumento in mano a sistemi economici nazionali anche nel quadro di una globalizzazione rivelatasi ad alto rischio, in grado di contrastare gli effetti negativi più devastanti delle crisi e di favorire una convivenza fra vocazioni economiche e culturali differenti”
. “Venezia è per noi, ma potrebbe diventare per tutti – prosegue Duci - il simbolo di ció che non va perseguito, di ció che va fatto urgentemente e di ció che avrebbe dovuto essere realizzato per tempo”.

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