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Il costo della mafia nel tessuto produttivo


Vale il 5% del Pil italiano lo “spreco” della legalità generato dalle infiltrazioni mafiose nel nostro tessuto produttivo. Parliamo della cifra più alta di qualsiasi spending review immaginata finora. Assicurare il pieno
ritorno delle imprese sottratte dalla criminalità alle logiche di mercato e della buona economia è perciò un modo efficace quanto urgente per arginare questa falla virulenta nella nostra società e restituire risorse alla collettività. È quanto si propone di fare “Impresa e bene comune”, il programma rilanciato nei giorni scorsi a Latina da Unioncamere e la Camera di commercio locale nell’ambito del Forum itinerante Reti e progetti per la legalità nell’economia.

 L’iniziativa nazionale promossa dal Sistema camerale insieme al Dipartimento della coesione sociale e territoriale, alle associazioni giovani imprenditori, al progetto Policoro della CEI, alle Banche di credito cooperativo, a Banca Etica, a Trasparency International, a Libera, al Corpo Forestale dello Stato. Per favorire la “Re-start up” delle imprese sequestrate il piano presentato mira a selezionare aziende disposte ad affiancare e a fornire assistenza tecnica alle cooperative che sono subentrate nella gestione delle imprese e dei beni confiscati, con l’obiettivo primario di supportare la ricostruzione delle reti relazionali. 

Non di rado, infatti, le imprese sequestrate precipitano in un isolamento che è spesso causa dell’insuccesso della ripresa delle attività produttive. Ripristinare perciò i rapporti di rete con fornitori, clienti, banche è quindi condizione indispensabile per riprendere il filo del discorso con il mercato e la legalità.
  Eduardo Cagnazzi 
(leggi l’articolo completo su PORTO&diporto Aprile 2014)

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