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I Pani di Pompei

Li abbiamo visti rappresentati negli affreschi e nei bassorilievi. Ma anche catalogati tra i reperti del sito archeologico più noto e affascinante del mondo: Pompei. Ora, da un'idea della Dieffe Comunicazione di Carmen Davolo, resa concreta da Molino Caputo e dallo chef Paolo Gramaglia,
del “President” di Pompei, con il supporto del panificio Esposito, i Pani di Pompei potranno essere anche gustati.
“Il nostro è uno studio che ci porta ad avvicinarci il più possibile alla riproduzione dei pani consumati dagli antichi romani”, dichiara Gramaglia. “Materie prime di grandissima qualità, strumenti di lavorazione e metodi di cottura strettamente aderenti alle normative sanitarie vigenti ci consentono di rendere quest'esperienza gastronomica estremamente gratificante da un punto di vista organolettico oltre che filologicamente corretta”. Per Antimo Caputo, amministratore delegato di Molino Caputo, “quella di approfondire la conoscenza degli usi gastronomici e della panificazione degli antichi pompeiani è stata un'idea che ci ha affascinato da subito. Uno studio storico che affianca e arricchisce la ricerca che l’azienda fa da sempre. Nel nostro molino lo studio dei grani e delle farine è un passaggio fondamentale della produzione, che conta quindici tipi diversi di referenze: farine e miscele con caratteristiche differenti e indicate per i diversi utilizzi. Dai dolci, al pane, dalle paste alle pizze”.
Un viaggio dunque nella storia, negli usi e nei cibi della città prima dell’eruzione che la rase al suolo. Già allora contava 34 panificatori muniti di forni (i pistrina) e macine di pietra lavica, alcuni di essi forniti anche di banchi di vendita. Cinque tra questi erano considerati grandi panificatori (fino a tre macine), altri, più piccoli, ne avevano una sola. Le macine erano fatte girare “a mano”, dagli schiavi o dagli asini.

 Da fonti letterarie e iconografiche (affreschi e bassorilievi) e da reperti archeologici (pagnotte carbonizzate), sappiamo che i tipi di pane più noti erano 10 (e che si producevano anche biscotti per i cani), suscettibili di una serie di varianti, che portavano alla produzione di un numero imprecisato di pani. Mattia Buondonno, la guida dei vip, spiega che il primo pane prodotto era il più grezzo e il più duro. Attorno al V secolo a.C., arrivarono, dalla Sicilia e dall'Africa, grani duri e teneri di qualità superiore che consentirono la produzione di pani e focacce di eccellente fattura.

Il pane si diversificava per forma, destinatari, impasti e metodi di cottura. Il più pregiato erail panis siligineus, prodotto con farine superiori e destinato a consumatori ricchi. Si trattava di una pagnotta circolare, sulla quale erano già tracciate le linee per dividerla in otto parti. I romani non utilizzavano il coltello per tagliare il pane e così, uscita dal forno, poteva già essere divisa tra i commensali. Il panis ortolaganus era, invece, considerato il pane delle feste.

Con un impasto molto ricco che prevedeva la presenza di ortaggi, canditi, miele, olio e vino. Assai ricco era anche il panis adipatus,“farcito”, come si intuisce dal nome, con lardo. Un pane più  scuro, destinato alle classi popolari, era il panis cibarius, dalla forma allungata (tipo ciabatta) e prodotto con un mix di farina setacciata di orzo e farro. Ancora più “essenziale” del precedente, il panis secundarius: anch'essodi forma allungata e prodotto con farina integrale.

Tra le tipologie più diffuse anche il panis bucellatus, un pane biscottato che prevedeva la cottura seguita da una “asciugatura” in forno caldo. Molto popolari anche le focacce, simili a quelle che mangiamo ancora oggi, e condite con olio e rosmarino e/o con olio e olive. Last but not least, il panis furfureus, un pane prodotto con la crusca e destinato ai cani. L'attenzione destinata alla panificazione nell'antica Pompei è testimoniata anche dalle diverse cotture previste: oltre che nel forno tradizionale, il pane poteva essere cotto sotto la cenere.

Eduardo Cagnazzi

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