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La Cina perde lo scettro di fabbrica del mondo


I dubbi e lo scetticismo che accompagnarono l’apertura dalla Cina ai mercati internazionali agli inizi degli anni ’80 si ripropongono ora agli economisti ed analisti che esaminano quanto sta succedendo in una dozzina di paesi nel mondo che si stanno proponendo come le nuove fabbriche a basso, bassissimo costo.

 I segnali che vengono dalla Cina sono chiari, il pil rallenta la sua crescita e il mercato del lavoro sta cambiando: inizia secondo gli esperti la fine della Cina come fabbrica a basso costo come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venti anni. Ecco quindi un gruppo di paesi, a basso pil e forte presenza demografica, pronti a prendere il posto del gigante asiatico, sicuramente non in toto, ma certamente per quelle lavorazioni che richiedono molta manodopera, scarsa qualificazione e poco infrastrutturazione interna.

 Una serie di piccole Cine, che insieme attualmente contano circa un miliardo di abitanti e che salvo poche eccezioni si localizzano tutte nel Sud Est asiatico: i settori produttivi sono quelli tradizionali del low cost, il tessile, l’assemblaggio di componentistica elettronica, l’industria meccanica di bassa qualificazione. Tra questi paesi spiccano Kenia ed Etiopia in Africa Orientale, mentre sull’altra sponda dell’Oceano Indiano il Myanmar è già pronto a ricevere cospicui investimenti esteri.

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